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pensieri |
(2856-2857-2858) |
Astraendo da tutto questo, dico che in una lingua la quale abbia pienamente questa facoltà, le traduzioni di quel genere, che i tedeschi vantano, meritano poca lode. Esse dimostrano che la lingua tedesca (2857) come una cera o una pasta informe e tenera, è disposta a ricevere tutte le figure e tutte le impronte che se le vogliono dare. Applicatele le forme di una lingua straniera qualunque e di un autore qualunque. La lingua tedesca le riceve e la traduzione è fatta. Quest’opera non è gran lode al traduttore perché non ha nulla di maraviglioso; perché né la preparazione della pasta né la fattura della stampa ch’egli vi applica appartiene a lui, il quale per conseguenza non è che un operaio servile e meccanico; perché dov’é troppa facilità quivi non è luogo all’arte, né il pregio dell’imitazione consiste nell’uguaglianza, ma nella simiglianza, né tanto è maggiore quanto l’imitante piú s’accosta all’imitato, ma quanto piú vi s’accosta secondo la qualità della materia in cui s’imita, quanto questa materia è piú degna; e quel ch’é piú, quanto v’ha piú di creazione nell’imitazione, cioè quanto piú v’ha di creato dall’artefice nella somiglianza che il nuovo oggetto ha coll’imitato, ossia quanto questa somiglianza vien piú dall’artefice che dalla materia, ed è piú nell’arte (2858) che in essa materia, e piú si deve al genio che alle circostanze esteriori. Neanche una tal opera può molto giovare alla lingua, né servire ad arricchirla o a variarla o a formarla e determinarla, sí perch’ella dee perdere queste impronte e queste forme colla stessa facilità con cui le riceve e per la ragione stessa per cui cosí facilmente le riceve; sí perché queste nella loro moltiplicità nocciono l’una all’altra, si scancellano e distruggono scambievolmente e impediscono l’una all’altra l’immedesimarsi durabilmente e connaturarsi colla favella; sí perché questa moltiplicità immoderata è incompatibile con quella tal quale unità di carattere che dee pur