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(3509-3510) pensieri 431

si desidera, e la cui privazione e desiderio fa infelici i dannati ec. (23 settembre 1823).


*    Niente d’assoluto. - Veggasi il pensiero antecedente, in particolare p. 3498-9, margine, nel quale si dimostra che né l’uomo né alcun vivente non desidera neppur la felicità assolutamente, ma relativamente, e solo s’ella conviene alla di lui propria natura, ed è richiesta dal di lui modo particolare di essere ec. e in quanto ella sia tale ec. Né perché una cosa sia felicità, per questo solo ei la desidera, né si compiace nello sperarla, quando ella non convenga al suo modo di essere ec. Si può però dire per un lato, che l’uomo desidera la felicità assolutamente. Veggasi la p. 3506. Ei non desidera tale o tale felicità, s’a lui non conviene: e dovendo desiderare una tale felicità, ei non può desiderar se non la conforme e propria al suo modo di essere. Ma la felicità assolutamente e indeterminatamente considerata, e s’ei cosí la considera, ei non può non bramarla, cioè in quanto felicità semplicemente. - Di qual cosa par che si possa ragionare piú assolutamente che della lunghezza o estensione di una data porzione di tempo? la quale si misura esattamente coll’oriuolo, e si divide  (3510) perfettamente in parti anche minutissime, non col pensiero solo, ma con gl’istrumenti da ciò, e come fosse quasi materia, e queste parti si annoverano e si raccolgono, e il loro numero si conosce colla certezza che dà l’aritmetica. Ora egli è certissimo che la lunghezza di una medesima quantità di tempo ad altri è veramente maggiore ad altri minore, e ad un medesimo individuo può essere, ed è, quando maggiore quando minore. Onde può dirsi con verità che una medesima data porzione di tempo or dura piú or meno ad un medesimo individuo, ed a chi piú a chi meno. Lasciamo stare che il tempo disoccupato, annoiato, incomodato, addolorato e simili, riesce e si