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(3506-3507) | pensieri | 429 |
(ché infinita e non perfetta nol contenterebbe), e in quanto felicità, astrattamente considerata, ma non già in quanto tale qual ella è, e di quella natura di ch’ella è. Ed oso dire che la felicità promessa dal paganesimo (e cosí da altre religioni), cosí misera e scarsa com’ella è pure, doveva parere molto piú desiderabile, massime a un uomo affatto infelice e sfortunato, e la speranza di essa doveva essere molto piú atta a consolare e ad acquietare, perché felicità concepibile e materiale, e della natura di quella che necessariamente si desidera in terra.
Osservisi che di due future vite, l’una promessa l’altra minacciata dal cristianesimo, questa fa sul mortale molto maggior effetto di quella. E perché? perché ci s’insegna che nell’inferno (e cosí nel Purgatorio) avrà luogo la pena del senso. Onde ci si rende concepibile nel genere, benché non concepibile nell’estensione, la pena che dee aver luogo in una vita e in un modo di essere (3507) a noi d’altronde inconcepibile non meno che quello de’ Beati nel Paradiso. E sebbene noi non possiamo concepire il modo in cui questa pena possa aver luogo nell’altra vita e nell’anime ignude, pur ci si dice ch’ella ha luogo miris sed veris modis (S. Agostino), restando fermo ch’ella è pena sensibile e materiale; onde noi non sapendo né immaginando il come, sappiamo però bene e concepiamo il quale sia quella pena.
E perciò può dirsi con verità che il cristianesimo è piú atto ad atterrire che a consolare, o a rallegrare, a dilettare, a pascere colla speranza. Ed è certissimo infatti che l’influenza da lui esercitata sulle azioni degli uomini, è sempre stata ed è tuttavia come di religion minacciante assai piú che come di religion promettente; ch’egli ha indotto al bene e allontanato dal male, e giovato alla società ed alla morale assai piú col timore che colla speranza; che i cristiani osservarono e osservano i precetti della