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(3493-3494-3495) pensieri 421

quella tal cosa, cioè quella riputazione e quella stima altrui che l’uomo timido teme a ogni momento di perdere, conversando nella società, e ch’egli sa però bene di non avere, o di perderla, mostrandosi timido; ma contuttociò lo rende incapace di franchezza il timore continuo di perdere, e la continua e affannosa cura di conservare, quello ch’ei comprende di non possedere, quello ch’ei ben s’avvede o di perdere necessariamente o di non mai potere acquistare se non deponendo quel continuo ed eccessivo timore, quella continua ed eccessiva cura. Tutte queste misere e strane contraddizioni  (3494) e tutti questi accidenti hanno luogo (proporzionatamente piú o meno ec.) nelle persone timide, e piú quanto elle sono di spirito piú delicato ec., delicatezza che bene spesso è la sola o la principal cagione della timidità. Ma quanto al temere ancora la vergogna desiderando la morte o essendo disposto di procurarsela, si spiega col vedere che quel coraggio, il qual non nasce da cause fisiche, né da atto o abito naturale o acquisito d’irriflessione, ma per lo contrario nasce da riflessione accompagnata col sentimento d’onore e da delicatezza d’animo (non da grossezza, come quell’altro) preferisce effettivamente la morte alla vergogna, e tanto è piú pauroso di questa che di quella, che ad occhi aperti e deliberatamente sceglie in fatto la prima piuttosto che la seconda, e antepone il non vivere alla pena di vergognarsi vivendo (22 settembre 1823).


*    Si suol dire che gli antichi attribuivano agli Dei le qualità umane, perch’essi avevano troppo bassa idea della divinità. Che questa idea non fosse appo loro cosí alta come  (3495) tra noi, non posso contrastarlo, ma ben dico che se essi attribuirono agli Dei le qualità umane, ne fu causa eziandio grandemente l’aver essi degli uomini e delle cose umane e di quaggiú troppo piú alta idea che noi