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420 pensieri (3491-3492-3493)

il danno, il sacrifizio, ma eziandio di cercarlo, di desiderarlo, di amarlo, di bramar la morte, di procurarsela colle proprie mani. Le stesse qualità morali o fisiche che portano sovente alla timidezza (ciò sono fra l’altre la riflessione, la delicatezza  (3492) e profondità di spirito ec.1 onde Rousseau era strabocchevolmente e invincibilmente timido), portano ancora alla noia della vita, al disinganno, all’infelicità, e quindi alla disperazione. È veramente mirabile e tristo, non men che vero, come un uomo che non solo non teme né fugge, ma desidera supremamente la morte, un uomo ch’è disperato di se stesso, che conta già la vita e le cose umane per nulla, un uomo ch’è risoluto eziandio di morire; tema ancor tuttavia l’aspetto degli uomini, si perda di coraggio nella società, si spaventi del rischio di essere ridicolo (rischio ch’egli ha sempre davanti agli occhi, e il cui pensiero e timore si è quello che lo rende timido), e non abbia coraggio d’intraprender nulla per migliorare o render meno penosa la sua condizione, e ciò per tema di peggiorar quella vita, della quale egli non fa piú caso alcuno, della quale ei dispera, che non può parergli possibile a divenir peggiore, odiandola già egli tanto da desiderar sommamente d’esserne liberato, o da volere determinatamente gittarla via. È mirabile che un uomo desideroso o  (3493) risoluto di morire, un uomo che ripone il suo meglio nel non essere, che non trova per lui miglior cosa che il rinunziare a ogni cosa; stimi ancora di aver qualche cosa a perdere, e cosa tanto importante, ch’egli tema sommamente di perderla; e che questa opinione e questo timore gli renda impossibile la franchezza e il gittarsi disperatamente nella vita ch’ei nulla stima; ch’egli ami meglio rinunziare decisamente a ogni cosa e perdere ogni cosa, che mettersi, com’ei si crede, al pericolo di perdere

  1. Veggansi le pagg. 3186-91.