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34 pensieri (2849-2850-2851)

Parlando dell’adattabilità o pieghevolezza, e della varietà e libertà  (2850) di una lingua, bisogna distinguere l’imitare dall’agguagliare, o rifare le cose dalle parole. Una lingua perfettamente pieghevole, varia, ricca e libera, può imitare il genio e lo spirito di qualsivoglia altra lingua, e di qualunque autore di essa, può emularne e rappresentarne tutte le varie proprietà intrinseche, può adattarsi a qualunque genere di scrittura, e variar sempre di modo, secondo la varietà d’essi generi, e delle lingue e degli autori che imita. Questo fra tutte le lingue perfette antiche e moderne poté sovranamente fare la lingua greca, e questo fra le lingue vive può, secondo me, sovranamente la lingua italiana. Perciò io dico che questa e quella sono piuttosto ciascuna un aggregato di piú lingue che una lingua, non volendo dire ch’elle non abbiano un carattere proprio, ma un carattere composto e capace di tanti modi quanti lor piaccia. Questo è imitare, come chi ritrae dal naturale nel marmo, non mutando la natura del marmo in quella dell’oggetto imitato; non è copiare né rifare, come chi da una figura di cera ne ritrae un’altra tutta  (2851) compagna, pur di cera. Quella è operazione pregevole, anche per la difficoltà d’assimulare un oggetto in una materia di tutt’altra natura; questa è bassa e triviale per la molta facilità, che toglie la maraviglia; e in punto di lingua è dannoso, perché si oppone alla forma e natura ed essenza propria ch’ella o ha o dovrebbe avere. Imitando in quel modo s’imitano le cose, cioè lo spirito ec. delle lingue, degli autori, dei generi di scrittura; imitando alla tedesca s’imitano le parole, cioè le forme materiali, le costruzioni, l’ordine de’ vocaboli di un’altra lingua (il che una lingua perfetta, anzi pure formata, non dee mai poter fare, né può per natura fare) e probabilmente s’imitano queste, e non le cose; cioè non s’arriva ad esprimer l’indole, la forza, la qualità, il genio della lingua e dell’autore originale