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396 pensieri (3452-3453)

tupero, l’infamia, l’indignazione, la pietà, la stima, la lode sono non piccoli, e certo i soli, gastighi e compensi destinati in questo mondo al vizio e alla virtú. Non è poco il far che l’una e l’altra gli ottengano, che l’uno sia punito, l’altra premiata com’ambedue possono esserlo, che la natura delle cose abbia luogo, che l’ordine stabilito alle cose umane e il decreto della natura sia effettuato. Il qual ordine e decreto non è altro che questo: sieno i malvagi felici ed infami, i buoni infelici e gloriosi o compatiti. Ordine spesso turbato, e decreto ben sovente trasgredito, non quanto alla felicità ed infelicità, ma quanto al biasimo e alla lode all’odio ed all’amore o compassione. L’uditore, vedendo il vizio e il delitto rappresentato con vivi e odiosi colori nel dramma, desidera fortemente di vederlo punito. E per lo contrario vedendo la  (3453) virtú e il merito oppressi e infelici, e rendutigli con bella e viva pittura ed artifizio amabili e cari dal poeta, concepisce sensibile desiderio di vederli ristorati e premiati. Or se né l’uno né l’altro fa il dramma stesso,1 cioè lascia il vizio impunito anzi premiato, e la virtú non premiata anzi punita e sfortunata; ne seguono due bellissimi effetti, l’uno morale, e l’altro poetico. Il primo si è che l’uditore, appunto per lo sfortunato esito della virtú e il contrario del vizio, che se gli è rappresentato nel dramma, si crede obbligato verso se stesso a cangiare quanto è in lui le sorti di que’ malvagi e di que’ virtuosi, punendo gli uni col maggior possibile odio ed ira, e gli altri premiando col maggior affetto di amore, di compassione e di lode. E con questa disposizione tutta di abborrimento e detestazione verso i malvagi e di tenerezza e pietà verso i buoni, egli parte dallo spettacolo. La qual disposizione quanto sia morale e buona e desiderabile che si desti, chi nol vede? E

  1. Veggasi la p. 3109-10.