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perduto affatto il significato di misero, che prima ebbe, ma non quello di ribaldo, reo, malo ch’é il suo piú ordinario e volgare significato oggidí (3 settembre 1823). Vedi p. 3351.

Μοχθηρός, πονηρός (πόνηρος infelix), μοχθηρία, πονηρία ec. ec. Vedi lo Scapula, e p. 3382. κακοδαίμων quegli che ha nemico τὸ δαιμόνιον cioè la divinità, o τὸν δαίμονα. Ma e’ vuol dire infelice. Luciano congiunge θεοῖς ἐχθροὺς καὶ κακδαίμονας. Εὐδαίμων ch’ha gli dei amici, ma e’ vuol dir fortunato, felice. Vedi lo Scapula in queste voci e in ἐχθροδαίμων, e in βαρυδαίμων, co’ derivati ec., e Aristot., Polit., l. III, p. 260, e ivi il Vettori (ed. Flor., 1576).


*    Tapino donde se non da ταπεινός? (3 settembre 1823).  (3344)


*   Scrissero, vissero, dissero, videro, diedero, tennero e simili innumerabili, quasi da scripsěrunt, vixěrunt, dixěrunt, viděrunt, deděrunt, tennuěrunt. Cosí veramente dissero molti poeti, massime i piú antichi, e che tal pronunzia fosse o restasse propria del volgo romano, il quale conservasse anche in questo l’antichità, e la trasmettesse fino a noi, si può raccogliere da certi versi popolari portati da Svetonio in Jul. Caes., cap. LXXX, § 3 (dove si veggano le note del Pitisco ec.), che correvano in Roma sugli ultimi tempi di Giulio Cesare. Dico popolari,1 e infatti si paragonino con quelli riportati dal medesimo Svetonio, ib., cap. XLIX, § 7, ch’erano cantati dalla soldatesca di Cesare (3 settembre 1823).


*    Alla p. 3206. - 6o, L’immaginazione, la facoltà d’inventare o inventiva, la vena e fecondità, lo spirito poetico, il genio ec., non solo per cause morali, ma anche fisiche, si vede indubitatamente esser minore ne’ vecchi e negli uomini maturi, che ne’ giovani,

  1. Lo dice Svetonio nello stesso citato luogo: vulgo canebantur.