Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
320 | pensieri | (3326-3327-3328) |
ostacoli che si attraversano, le angustie (3327) che stringono, la vera infelicità della condizione in cui si trova oggidí l’italiano che aspiri ad esser scrittor classico, cioè pensare originalmente, dir cose proprie del tempo, dirle in modo proprio del tempo, e perfettamente adoperare la sua lingua, senza le quali condizioni, e una sola che ne manchi, non si può mai né pretendere giustamente, né ragionevolmente sperare l’immortalità letteraria (alla quale, e sia detto per incidenza, ben raro o niuno è che giungesse per mezzo di opere scritte in lingua non sua; come se noi, spaventati dalle difficoltà che ho detto, e son per dire, volessimo scrivere in francese piuttosto che in italiano).
Un italiano, ancorché pienamente istruito in tutto ciò che si richiede oggidí in qualsivoglia luogo a un perfetto uomo di lettere, ancorché sommamente ricco d’immaginazione e di cuore, ancorché fecondissimo e gravido o di pensieri proprii, importantissimi, profondissimi, novissimi, d’invenzioni, d’idee d’ogni genere convenientissime al tempo; ancorché osservatore, meditatore, ragionatore senza pari; ancorché peritissimo di tutte l’arti e artifizi dello (3328) stile: volendo perfettamente scrivere in italiano, ed essendo, per ogni altro riguardo, capacissimo di perfettamente scrivere, si trova mancare affatto della lingua in cui possa farlo, non solo perfettamente, ma pur mediocrissimamente. A questo tale è duopo apprestarsi prima di tutto una lingua colle sue mani. Ma questa in qual modo? Manco difficile sarebbe il crearsela. Se l’Italia non avesse che una lingua imperfettissima, ristrettissima e bambina, manco difficile sarebbe a un grande ingegno il perfezionarla, l’arricchirla, il dilatarla, il condurla a maturità. Ma l’Italia ha una lingua altrettanto perfetta quanto immensa; bensí da lungo tempo dismessa, e però impropria a’ di lui bisogni, a’ quali ella non fu ancor mai per al-