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(3253-3254-3255) | pensieri | 275 |
cessità, e per sua natura, la piú schiava, povera, timida, monotona, uniforme, arida e brutta lingua, la piú incapace di qualsivoglia genere di bellezza, la piú impropria all’immaginazione, e la meno da lei dipendente, anzi la piú da lei per ogni verso disgiunta, la piú esangue ed inanimata e morta, che mai si possa concepire; uno scheletro, un’ombra di lingua piuttosto che lingua veramente; una lingua non viva, quando pur fosse da tutti scritta e universalmente intesa, anzi piú morta assai di qualsivoglia lingua che piú non si parli né scriva. Ma si può pure sperare che perché gli uomini sieno già fatti generalmente sudditi infermi, impotenti, inerti, avviliti, scoraggiati, languidi, e miseri della ragione, ei non diverranno però mai schiavi moribondi e incatenati (3254) della geometria. E quanto a questa parte di una qualunque lingua strettamente universale, si può non tanto sperare, ma fermamente e sicuramente predire che il mondo non sarà mai geometrizzato; non meno di quel che si possa con certezza affermare ch’ei non ebbe una tal favella mai, se non forse quando gli uomini erano cosí pochi, e di paese cosí ristretti, e niente vari di opinioni, costumi, usi, riti, governo e vita, che la lingua era universale solo perciò che piú d’una nazione d’uomini, almeno parlanti, non v’aveva, onde universale era la lingua, perch’era una al mondo, né altra lingua mai s’era udita ed una era e sempre era stata la lingua, perché una sempre la nazione infino allora, o una, se non altro, la nazione che di lingua avesse uso e notizia (23 agosto 1823).
* Quello poi che ho detto che una lingua strettamente universale dovrebbe di sua natura essere anzi un’ombra di lingua, che lingua propria, maggiormente, anzi esattamente conviene a quella lingua caratteristica proposta fra gli altri dal nostro Soave (nelle Riflessioni intorno (3255) all’istituzione d’una lingua