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(3062-3063) | pensieri | 163 |
* Esse conveniens alicui rei pro convenire; il participio attivo coll’ausiliare esse, all’italiana. Vedi Fedro, Fab., XXVII, v. I, l. 1, e Ovidio Trist., I, 1, v. 6, ed anche il Fedro di Desbillons, Manheim, 1786, p. LIX (29 luglio 1823).
* Altri due italianismi veggansi in Fedro II, 5, verso 25, e 6, verso 4. Desbillons, loc. cit., p. LXIV e LXV. E notinsi i luoghi di Varrone, il quale parla del latino illustre. Altro eziandio, III, 6, v. 5. Desbillons, p. LXXI. Ma Fedro seguiva o s’appressava in molte cose al latino volgare. Quindi è ch’ha delle frasi tutte sue, cioè che non si trovano negli altri autori latini, e che sono sembrate non latino. Vedi il Desbillons, p. XXII-VI e gli altri che trattano della sua latinità. Niuno de’ quali, io credo, ha osservato la vera cagione della differenza di questa latinità della piú nota. Tutti gli scrittori latini (anche antichi e veri classici) che hanno del familiare nello stile, come, oltre i Comici, Celso (che s’accosta molto a Fedro quanto può un prosatore a un poeta, e che fu pur creduto non appartenere al secolo d’oro) e (3063) lo stesso Cesare, inclinando per conseguenza piú degli altri al linguaggio volgare (benché moderatamente e con grazia, come molti degl’italiani, per esempio il Caro), si accostano eziandio piú degli altri all’andamento, sapore ec. e alle frasi, voci o significazioni ec. dell’italiano. Cosí pure fa Ovidio fino a un certo segno, ma per altra ragione, cioè per la negligenza e fretta che non gli permetteva di ripulire bastantemente il suo linguaggio, di dargli dovunque il debito splendore, nobiltà ec.; di tenersi sempre lontano dalla favella usuale: insomma, perché non sapeva o non curava di scrivere perfettamente bene, e si lasciava trasportare dalla sua vena e copia, con poco uso della lima, siccome per lo stile, cosí per la lingua (29 luglio 1823).