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132 | pensieri | (3009-3010-3011) |
linguaggio si distingue eziandio grandemente dal prosaico e volgare per la diversa inflessione materiale di quelle stesse voci e frasi che il volgo e la prosa adoprano ancora. Ond’é che spessissimo una tal voce o frase è poetica pronunziata o scritta in un tal modo, e prosaica, anzi talora affatto impoetica, anzi pure ignobilissima e volgarissima in un altro modo. E in quello è tutta elegante, in questo affatto triviale, eziandio talvolta per li prosatori. Questo mezzo di distinguere e separare il linguaggio d’un poema da quello della prosa e del volgo inflettendo o condizionando diversamente (3010) dall’uso la forma estrinseca d’una voce o frase prosaica e familiare, è frequentissimamente adoperato in ogni lingua che ha linguaggio poetico distinto, lo fu da’ greci sempre, lo è dagl’italiani: anzi, parlando puramente del linguaggio, e non dello stile, poetico, il detto mezzo è l’uno de’ piú frequenti che s’adoprino a conseguire il detto fine, e piú frequente forse di quello delle voci o frasi inusitate.
Or questa diversa e poetica inflessione e pronunzia de’ vocaboli correnti che altro è per l’ordinario, se non inflessione e pronunzia antica, usitata dagli antichi prosatori, nell’antico discorso, ed ora andata in disuso nella prosa e nel parlar familiare? di modo che quelle parole cosí pronunziate e scritte non altro sono veramente che parole antiche e arcaismi, in quanto cosí sono scritte e pronunziate? né altro è ordinariamente dire inflessioni, licenze, voci poetiche se non arcaismi? Vedi in questo proposito una bella riflessione di Perticari, Apologia, capo XIV, fine, p. 131-2. Certo questa diversità d’inflessione per la piú parte non è se (3011) non quello ch’io dico: cosí ne’ poeti greci, cosí ne’ latini (piú schivi però dell’antico, e quindi il loro linguaggio poetico è assai meno distinto dalla lor prosa quanto a’ vocaboli, che il greco), cosí negl’italiani. Perocché non è da cre-