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(2999-3000) pensieri 125

lambiccati e peccanti di seicentismo, e benché non vi siano introdotti se non alla fine e per chiusa di ciascun atto. Ma essi fanno quivi l’offizio che i cori facevano anticamente, cioè riflettere sugli avvenimenti rappresentati, veri o falsi, lodar la virtú, biasimare il vizio, e lasciar l’animo dello spettatore rivolto alla meditazione e a considerare in grande quelle cose e quei successi che gli attori e il resto del dramma non può e non dee rappresentare se non come particolari e individue, senza sentenze espresse e senza quella filosofia che molti scioccamente pongono in bocca degli stessi personaggi. Quest’uffizio è del coro; esso serve con ciò ed all’utile e profitto degli spettatori che dee risultare dai drammi, ed al diletto che nasce dal vago della riflessione e dalle circostanze e cagioni spiegate di sopra (21 luglio 1823).  (3000)


*   Delle cose veramente ridicole nella società o negl’individui è ben raro trovar chi ne rida. E s’alcuno ne ride, difficilmente trova il compagno che l’aiuti a farlo, e che gli dia ragione, o che pur senta la causa del suo riso. Gli uomini per lo piú ridono di cose che in effetto son tutt’altro che ridicole, e spesso ne ridono per questo appunto che non sono ridicole. E tanto piú ne ridono quanto meno elle son tali (21 luglio 1823).


*    Alla p. 2922, fine. Alcune volte noi diciamo volere anche di cose animate, anche degli uomini, ma relativamente a ciò che non dipende dalla lor volontà, o che non può dipender da volontà o che anche è contrario affatto alla lor volontà, e lo diciamo non solo per ischerzo, ma eziandio seriamente, in virtú dell’idiotismo che ho preso a illustrare. Per esempio, il tale non vuole ancora guarire, cioè, ancor non guarisce: e il verbo volere ridonda. Qua si dee riferire un luogo di Platone nel Sofista, edizione Astii,