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pensieri |
(2762-2763-2764) |
chi non l’avesse o non l’avesse in quel tal grado; come fanno i panegiristi circa ogni sorta di virtú. Laddove Virgilio la concepiva, secondo le idee incivilite del suo tempo, come un vizio e un biasimo; e concepiva come virtú e pregio la benignità ed umanità verso i nemici, il che sarebbe stato ridicolo o assurdo ai tempi d’Omero, come lo sarebbe ora presso i (2763) selvaggi, e questa umanità pose come parte essenziale e notabilissima della virtú eroica, ed espressela nel suo Enea, anzi gliel’attribuí come qualità caratteristica e principale della sua indole. E quei tratti d’inumanità non li tolse né li ritrasse dalla forma dell’eroismo ch’egli avea nella sua mente, né da quella del carattere di Enea ch’egli si era composta; ma dal poema che s’aveva e s’era sempre avuto per modello dei poemi eroici, e in cui si stimava universalmente essere rappresentata la vera idea del carattere eroico. E ne li tolse quasi contro sua voglia; o piú veramente non s’accorse che questa idea a’ suoi tempi, in questa parte, era mutata; e non era, in questo, l’idea sua né quella de’ suoi contemporanei; e ch’essa era, in ciò, ben diversa dal concetto ch’egli s’era formato e ch’aveva espresso del suo Enea. Laonde non vide che quei tratti, benché proprii della (2764) virtú eroica appresso Omero, ed appartenenti al carattere di quegli eroi, non avevano che fare col suo poema. Ma esso gli appropriò ad Enea, pensandosi d’aver espresso fino allora e di esprimere nel suo poema un eroe come quelli di Omero e un carattere eroico come l’eroismo espresso da Omero; nel che s’ingannava; e pensandosi che l’eroismo per li suoi tempi fosse quella cosa medesima ch’era stato per li tempi d’Omero, nel che pur s’ingannava. Siccome anche s’ingannava pensandosi d’aver fatto un eroe che fosse potuto essere a quei tempi ne’ quali egli lo supponeva; o ch’essendo, fosse potuto essere stimato eroe da’ suoi contemporanei. Perché infatti Virgilio,