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402 | pensieri | (2731-2732-2733) |
ché non sieno ancora giunte a un cotal grado di perfezione e di certezza, pure di natura loro debbono esser trattate colla maggior possibile esattezza, e non danno luogo all’immaginazione (della quale il Buffon fece grandissimo uso), ma solamente all’esperienza, alla notizia positiva delle cose, al calcolo, alla misura ec. (30 maggio 1823).
* In proposito della prontissima decadenza della letteratura latina, e della lunghissima conservazione della greca, è cosa molto notabile, come dopo Tacito, cioè dall’imperio di Vespasiano in poi (fino al quale si stendono le (2732) sue storie) la storia latina restò in mano dei greci, e le azioni nostre furono narrate da Appiano, Dione, Erodiano, anche prima della traslocazione dell’imperio a Constantinopoli, e dopo questa da Procopio, Agazia, Zosimo ec. Senza i quali la storia del nostro impero da Vespasiano in poi, sarebbe quasi cieca, non avendo altri scrittori latini che quei miserabili delle Vite degli Augusti, piene di errori di fatto, di negligenza, di barbarie, e Ammiano non meno barbaro, per non dir di Orosio e d’altri tali piú miserabili ancora. Cosí quella nazione che ne’ tempi suoi piú floridi aveva narrato le sue proprie cose, e i suoi splendidissimi gesti e le sue altissime fortune, e forse prima d’ogni altra aveva dato in Erodoto l’esempio e l’ammaestramento di questo genere di scrittura; dopo tanti secoli, quando già non restava se non la lontana memoria della sua grandezza, estinto il suo imperio e la sua potenza, fatta (2733) suddita di un popolo che quando ella scriveva le sue proprie storie, ancora non conosceva, seguiva pure ad essere l’istrumento della memoria dei secoli, e i casi del ge-
chiama scienze certe. Generalmente però quelle che io qui intendo le chiama dimostrative (p. 160, mezzo - 161, principio ec. e così ragioni dimostrative, p. 181, opposte alle probabili e persuasive o congetturali); il qual nome abbraccia sì le esatte sì le men certe, speculative e morali o materiali ec. che sieno.