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(2612-2613) pensieri 335

vuole o che gli bisogna dire o di dirlo pienamente e perfettamente: e anche questo si fa sentire al lettore. Perciocché spessissimo occorrendo loro molte cose che farebbero all’argomento, al tempo, ec., che sarebbero utili o necessarie in proposito, e ch’essi desidererebbero dire, e concepiscono perfettamente, e forse anche originalmente, e che darebbero luogo a pensieri notabili e belli; essi scrittori, ben conoscendo questo, tuttavia le fuggono o le toccano di fianco e di traverso e se ne spacciano pel generale o ne dicono sola una parte, sapendo ben che tralasciano l’altra, e che sarebbe bene il dirla, o in somma non confidano o disperano di poterle dire o dirle pienamente nel loro stile. La qual cosa non è mai accaduta ai veri grandi scrittori ed è mortifera alla letteratura. E per ispecificare: i detti scrittori sono e si mostrano sicuri di non dare nel francese (cioè in quel cattivo italiano che è proprio del nostro tempo, e quindi naturale anche a loro, anzi solo naturale), ma non sono né si mostrano sicuri di  (2613) poter dire nel buono italiano tutto quello che loro occorra; come lo erano i nostri antichi. Anzi lasciano ottimamente sentire, che molte cose quasi necessarie e delle quali si compiacerebbero se le avessero potuto e saputo dire nel buono italiano, e la cui mancanza si sente, e che molte volte sono anche notissime a tutti in questo secolo, essi le tralasciano avvertitamente e le dissimulano, almeno da qualche necessaria parte, e se ne mostrano o ignoranti o poco istruiti o di non averle concepite, quando pur l’hanno fatto anche piú degli altri, e che insomma non ardiscono dirle per timore di offendere il buono italiano e il proprio stile. Il qual timore e la quale impotenza assicurerebbe alla letteratura e filosofia italiana di non dar mai piú un passo avanti, e di non dir mai piú cosa nuova, come pur troppo si verifica nel fatto (27 agosto 1822).