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304 pensieri (2553-2554-2555)

di patimenti necessarii e ciascuno istante che la compone è un patimento.

Di piú l’uomo dev’esser certo di provare in vita sua piú o meno, maggiori  (2554) o minori, ma certo gravi e non pochi di quei patimenti accidentali che si chiamano mali, dolori, sventure, o che provengono dai vari desiderii dell’uomo ec. E quando anche questi non dovessero comporre in tutto se non la menoma parte della sua vita, com’è certo che ne comporranno la massima, essendo egli d’altra parte certissimo di passar tutta la vita senza un piacere, la quistione ritorna a’ suoi primi termini, cioè se, essendo meglio il non patire che il patire, e non potendosi vivere senza patire, sia meglio il vivere o il non vivere. Un solo, anche menomo dolore riconosciuto per inevitabile nella vita, non avendo per controbilancio neppure un solo e menomo piacere, basta a far che l’essere noccia all’esistente e che il non essere sia preferibile all’essere.


     Tutto questo essendo applicabile ad  (2555) ogni genere di viventi in qualunque loro condizione (niuno de’ quali può esser felice, e quindi non essere infelice e non patire) e d’altronde posando sopra principii e fondamenti quanto profondi altrettanto certissimi e immobili, ed essendo esattissimamente ragionato e dedotto e strettamente conseguente, serva a far conoscere la distruttiva natura della semplice ragione, della metafisica, della dialettica, in virtú delle quali tutto il mondo vivente dovrebb’esser perito, per volontà e per opera propria, poco dopo il suo nascere (5 luglio 1822).


*   Alla pagina 2529. Finché il giovane conserva della tenerezza verso se stesso, vale a dire che si ama di quel vivo e sensitivissimo e sensibilissimo amore ch’è naturale, e finché non si getta via nel mondo, considerandosi, dirò quasi, come un altro, non fa mai né