ch’allora fu tenuta per tale? Signor no, ma per corrotta. E la buona lingua si stimava solo quella del trecento e se ne deplorava la mutazione, chiamandola corruzione e scadimento totale della lingua (come noi facciamo rispetto al cinquecento), e gli scrittori tanto piú s’avevano eleganti, quanto meno scrivevano nella lingua loro per iscrivere in quella di quell’altro secolo. Laddove a noi, a’ quali l’una e l’altra è divenuta pellegrina, tanto piú piacciono i cinquecentisti quanto piú seguono l’uso (2516) del loro secolo e meno imitano il trecento. Ed è ben ragionevole, perché allora solo possono esser naturali e di vena, come è il Caro che non fu mai imitatore (è notabile che di parecchi cinquecentisti le lettere dov’essi ponevano meno studio e che stimavano essi medesimi di lingua impurissima, mentr’era quella del loro secolo, sono piú grate a leggersi e di migliore stile che l’altre opere, dove si volevano accostare alla lingua del trecento, mentre nelle lettere usavano la lingua loro e riescono per noi elegantissimi e naturalissimi). Vedi p. 2525. Ma anche nel cinquecento non si stimava veramente elegante se non il pellegrino, e lo trovavano e cercavano nella lingua del trecento, che sola chiamavano pura, quando per noi è purissima quella del cinquecento. Vedi Salviati, Avvertimenti della lingua, citati nelle opere del Casa, Venezia, 1752, t. III, p. 323. fine-324. Nel trecento poi nemmen si parlava di purità, né si poneva tra i pregi della lingua o dello scrivere; e la lingua del loro secolo non si stimava elegante (se non forse alcune smancerie fiorentine, di cui parla il Passavanti, e queste credo piuttosto che s’amassero nel resto di Toscana o d’Italia che in Firenze, come accade veramente anche oggi): e quelli scrittori che piú si stimavano eleganti, e che tali si credevano o pretendevano essi medesimi, erano non quelli che oggi piú s’ammirano per la naturalezza e la semplicità e