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206 pensieri (2381-2382)



*   Giovanette di quindici o poco piú anni che non hanno ancora incominciato a vivere né sanno che sia vita, si chiudono in un monastero, professano un metodo, una regola di esistenza, il cui unico scopo diretto e immediato si è d’impedire la vita. E questo è ciò che si procaccia con tutti i mezzi. Clausura strettissima, fenestre disposte in modo che non se ne possa vedere persona, a costo della perdita dell’aria e della luce, che sono le sostanze piú vitali all’uomo, e che servono anche, e sono necessarie alla comodità giornaliera delle sue azioni, e di cui gode liberamente tutta la natura, tutti gli animali, le piante, e i sassi. Macerazioni, perdite di sonno, digiuni, silenzio: tutte cose che unite insieme nocciono alla salute, cioè al ben essere, cioè alla perfezione dell’esistenza, cioè sono contrarie alla vita. Oltreché escludendo assolutamente l’attività, escludono la vita, poiché il moto e l’attività è ciò che distingue il vivo dal morto: e la vita consiste nell’azione, laddove lo scopo diretto della vita monastica anacoretica ec. è l’inazione, e il guardarsi dal fare, l’impedirsi di fare. Cosí che la monaca o il monaco  (2382) quando fanno professione, dicono espressamente questo: io non ho ancora vissuto, l’infelicità non mi ha stancato né scoraggito della vita: la natura mi chiama a vivere, come fa a tutti gli esseri creati o possibili: né solo la natura mia, ma la natura generale delle cose, l’assoluta idea e forma dell’esistenza. Io però, conoscendo che il vivere pone in grandi pericoli di peccare ed è per conseguenza pericolosissimo per se stesso, e quindi per se stesso cattivo (la conseguenza è in regola assolutamente), son risoluto di non vivere, di fare che ciò che la natura ha fatto non sia fatto, cioè che l’esistenza ch’ella mi ha dato, sia fatta inutile e resa (per quanto è possibile) nonesistenza. S’io non vivessi o non fossi nato, sarebbe meglio in quanto a questa vita presente, perché non sarei in pericolo di peccare, e quindi libero