Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/202

190 pensieri (2355-2356-2357)

vando il χ greco. Queste parole sono antichissimamente e primitivamente proprie delle nostre lingue: (2356) sono volgarissime, anzi plebee; né s’usa altra voce nel linguaggio familiare per dinotare la stessa azione. Antichissima e proprissima della lingua greca è la voce λείχω. Come dunque questa conformità fra l’antichissimo greco e il modernissimo, vivente ed usualissimo italiano, francese ec.? Non è egli evidente che leccare, lécher ec. ci viene dal volgare latino? E da qual altra fonte che da un volgare ci può esser venuta una parola sí volgare e propria del nostro piú familiare discorso? E qual altro volgare che il latino può ed avere avuta questa parola greca, usandola volgarmente, ed averla comunicata a queste due lingue moderne, nate l’una separatamente dall’altra? Ma come poté nel volgare latino divenire sí familiare, e conservarsi poi sino all’ultimo, un antichissimo verbo greco? Certo il volgo latino non istudiava il greco e piú grecizzanti erano i nobili che la plebe. È dunque manifesto che tal verbo deriva niente meno che da quella primitiva sorgente da cui vennero il greco e il latino (volgari tutti due quando nacquero, come son tutte le lingue); e che perduto poi, o escluso dalle polite scritture e dal linguaggio nobile, come tante altre  (2357) (e come accade appunto nell’italiano che parecchie voci volgari, benché derivate dalla purissima latinità, cioè dalla nostra madre, si escludono dalle polite scritture o discorsi, perché appunto fatte troppo familiari dall’uso quotidiano della plebe ec. e si antepongono altre d’origine o di forma corrottissima), si conservò perpetuamente nel popolare. Ed appunto qui possiamo osservare un esempio di ciò che ho detto nella parentesi, poiché lingo (vedi il Forcellini) non è che corruzione di λείχω o lecho, o licho, pur quello fu adottato nelle scritture, questo escluso, benché certo esistesse nella lingua latina, come abbiamo veduto. Vedi il Ducange in