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(2309-2310-2311) pensieri 161

quando tante parole di Dante e d’altri trecentisti o duecentisti, meno lontani da noi che le origini della lingua latina da Festo, sono o di oscurissima e incertissima o di perduta significazione.

Io credo che esso non significhi altro che materia o cosa esistente (che per li primitivi uomini non poteva essere immaginata se non dentro la materia, ed estendi questo pensiero). E penso che sia né piú né meno l’ὕλη dei greci, ossia quell’antichissimo hilh o hulh, che abbiamo detto.

Vogliono che nihil sia troncamento di nihilum. Al contrario, a me pare che nihilum sia parola cosí ridotta da nihil, perché divenisse capace di declinazione. Che troncamento barbaro sarebbe stato questo e quanto contrario al costume latino, se da nihilum primitivo avessero fatto nihil! e non piuttosto viceversa,  (2310) che è naturalissimo. Addolcendosi la favella (massime quelle del gusto meridionale, del gusto della latina) non si troncano, anzi si aggiungono appunto allora le terminazioni, e si procura inoltre di render declinabili, cioè modificabili, secondo le diverse occorrenze del discorso, le voci che già esistono; e non per lo contrario. Indubitatamente pertanto non nihil da nihilum, ma questo viene da quello. Si dice parimente nil contrazione di nihil, fatto piú volte monosillabo da Lucrezio; ma nilum per nil si trova in Lucrezio appena una volta, e chi sa s’é vero e che non sia errore invece di nihilum dissillabo. In ogni modo è costante presso il piú sciocco etimologo che le terminazioni non vanno calcolate, ed è chiaro che le sole radicali di nihilum, i, o, ec. sono nihil, di hilum, hil. E di questo secondo la cosa è tanto piú manifesta, quanto che abbiamo appunto da esso nihil e nil, senza la terminazione declinabile.


     Eccoci dunque con questo hil nudo e manifesto nelle mani e se attenderete alle  (2311) cose dette di