Pagina:Zibaldone di pensieri III.djvu/82

68 pensieri (1293-1294-1295)

della facoltà di crear nuovi composti e derivati, disfacendo quello che fecero i nostri antichi. Giacché l’impedire alla lingua, e ciò per legge costante, che non segua ad esercitare le facoltà generative datele da quelli che la formarono, è lo stesso che spogliarnela, e quindi si chiama disfare e non conservare l’opera dei nostri maggiori.

Dilatate quest’ultimo pensiero, dimostrando come il voler togliere alla lingua l’esercizio delle sue facoltà creatrici, proprie della sua indole, sia appunto l’opposto di quello che si crede, cioè allontanarla dalla sua indole e dalla sua condizione primitiva in luogo di mantenercela. La condizione primitiva della lingua era di esser viva; ora il ridurla allo stato  (1294) assoluto di morta, si chiamerà conservarla qual ella era e quale ce la trasmisero i suoi formatori? Dunque conservare una parola, una forma, un significato, un suono antico ec. e sbandire una voce o modo barbaro, una cattiva ortografia, un significato male applicato ec., tutte cose particolari ed accidentali e, quel ch’é piú, mutabili, tutto questo si chiamerà conservare la lingua. E lo spogliarla delle sue facoltà generali ed essenziali e immutabili, non si chiamerà guastarla o alterarla, ma anzi conservarla? Dico immutabili, fin tanto ch’ella non muti affatto qualità e di viva diventi morta. Il solo immutabile nella lingua sono le facoltà che costituiscono il suo carattere, parimente immutabile. Le parole, i modi, i significati, le ortografie, le inflessioni ec., niente di questo è immutabile, ma tutto soggetto all’uso per propria natura. Cosí che i nostri bravi puristi vogliono eternare nella lingua la parte mortale e distruggere l’immortale o quella che tale dev’essere, se non si vuol mutare la lingua. E l’uso di tali facoltà creatrici, ch’io dico immortali, deve essere perpetuo finché una lingua vive, appunto perché la novità delle cose e delle idee, alle quali serve la lingua,  (1295) è perpetua. Che se non fosse perpetua,