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64 pensieri (1287-1288-1289)

rito umano, tutto il cui progresso, tanto in genere come in ispecie, vale a dire in qualsivoglia scienza o arte, consiste nell’avvicinarsi sempre piú agli elementi delle cose e delle idee e nel conoscere che una cosa o un’idea, fin allora dell’ultima semplicità conosciuta, ne contiene un’altra piú semplice.  (1288)

Osserviamo ora le conseguenze di questa scrittura quasi stenografica, cioè senza vocali, scrittura per sí lungo tempo comune all’oriente, anche dopo l’intero perfezionamento della loro arte di scrivere, e scrittura primitiva fra gli uomini. Osserviamo, dico, le conseguenze che appartengono al nostro proposito, cioè alle alterazioni portate dalla scrittura alle prime radici ed alla perdita che ci ha cagionata della perfetta cognizione di molte di loro ec.

Tutti gli eruditi sanno che delle vocali non bisogna far molto calcolo nelle lingue e parole orientali, sia nello studiarle, sia nel confrontarle con altre lingue e parole, nel cercarne le radici, le origini, le proprietà, le regole ec. E che le vocali in dette lingue sono per lo piú variabilissime, incertissime e bisogna impazzire per ridurre sotto regole, suddivise in infinito, quello che loro appartiene. Or come ciò? Questo è pur contrario alla natura universale della favella umana, la cui anima, la cui parte principale e sostanziale sono le vocali. E ben dovrebbero queste naturalmente esser meno variabili e piú regolate che le consonanti. Ciò non si deve attribuire se non a quella imperfetta maniera di scrivere che abbiamo accennata (imperfezione derivata dall’esser quella scrittura la prima del mondo ec.), e serve anche a dimostrare, contro l’opinione di alcuni critici, che i piú antichi e primitivi alfabeti orientali mancarono effettivamente de’ segni delle vocali. Non è già che le vocali  (1289) non formassero e non formino la sostanza delle lingue orientali, come di tutte le altre piú o meno. Formano la sostanza di quelle lingue, ma non