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(1888-1889-1890) | pensieri | 425 |
ben disusate ed antiche di fatto, non sono antiche di valore, di forma, di conio, lo verrò spiegando.
Primieramente la lingua italiana non ha mai sofferto, come la francese, una riforma, venuta da un solo fonte ed autorità, cioè da un’accademia, e riconosciuta dalla nazione, la quale la ristringesse alle sole parole comunemente usitate al tempo della riforma o che poi fossero per venire in uso, togliendole affatto la libertà di adoperare quanto di buono d’intelligibile ed inaffettato si potesse trovare nel capitale della lingua non piú solito ad usarsi ma usato dagli antichi. Della quale specie moltissimo avrebbe allora avuto la lingua francese da poter salvare. Non si è mai tolta fra noi ogni autorità agli antichi, serbandola solamente ai moderni o ristringendola (1889) e terminandola in un solo corpo e nell’epoca di esso.
Questa riforma era naturalissima nella Francia a differenza di tutte le altre nazioni. Lo spirito di società che costituisce tutto il carattere, tutta la vita de’ francesi, come forma l’indole de’ loro costumi, cosí necessariamente quello della loro lingua in ciascun tempo. Ora, essendo effetto naturale di detto spirito l’uniformare gli uomini, ed uniformando i costumi uniformare inseparabilmente la lingua, è naturale ancora che questa uniformità s’intenda ristretta agli uomini che di mano in mano sono e non a quelli che furono. Ond’é che il francese vuole e dee vivere e parlare come vivono e parlano i suoi nazionali moderni e presenti, non come i suoi nazionali antichi, nel qual caso egli differirebbe dai presenti, peccato mortale per un francese e qualità incompatibile collo spirito di società, in quanto egli è tale in qualsivoglia nazione. Cosí che la riforma della lingua francese, dovendo introdurre l’uniformità, non (1890) poteva non iscartare tutto l’antico (siccome difforme dal moderno), tutto ciò che non fosse in presente e corrente uso, ancorché buonissimo e bellis-