molto meno v’è una morale eterna e preesistente alla natura delle cose, ma ch’ella dipende e consiste del tutto nella volontà e nell’arbitrio di Dio padrone sí di stabilire quelle determinate convenienze che voleva, sí di ordinare o proibire espressamente agli esseri pensanti quello che gli piaccia, secondo gli ordini e le convenienze da lui solo create; che Dio non ha quindi né può avere alcuna morale, il che non potrebb’essere, se non ammettendo le idee di Platone indipendenti da Dio, e i modelli eterni e necessari delle cose; che la morale per tanto è creata da lui, come tutto il resto, e ch’egli era padrone di mutarla a tenore delle diverse circostanze del genere umano, siccome è padrone di darne una tutta diversa, e anche contraria, o anche non darne alcuna, a un diverso genere di esseri, sí dentro gli ordini noti delle cose (come agli abitanti d’altri (1639) pianeti), sí in altri sconosciuti, ed ugualmente possibili e verisimili. Da tutto ciò resta spiegata la differenza fra la legge che corse prima di Mosè, quella di Mosè, e quella di Cristo. Tutti dicono che il cristianesimo ha perfezionata la morale ciò stesso vuol dire ch’ella non è dunque innata). Mutiamo i termini. Non l’ha perfezionata ma rinnovata, cioè perfezionata solo relativamente allo stato in cui la società umana era ridotta, e da cui, quanto al sostanziale, non poteva piú tornare indietro, come non ha fatto. Allora divenne conveniente la nuova morale, ossia la legge di Cristo, legge che doveva essere perpetua per la detta ragione; legge che ha fatto illecito realmente ciò che prima era lecito, e viceversa, come agevolmente si può vedere confrontando i costumi naturali di qualsivoglia o uomo isolato o società, e degli Ebrei prima di Mosè, con la legge contenuta nel Pentateuco, e questa e quelli con la legge del Vangelo. Giacché queste due leggi non si restringono di gran lunga al Decalogo, il quale intanto è rimasto immutabile, in quanto contenendo i