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(1631-1632-1633) | pensieri | 277 |
un (1632) menomo strapazzo del corpo o fatica di mente ec., e poi dica se la civiltà rafforza l’uomo, accresce la sua capacità e potenza; se gli antichi si maraviglierebbero o no della impotenza nostra; se la natura stessa se ne debba o no vergognare; e se noi medesimi non lo dobbiamo, vedendo sotto gli occhi per l’una parte di quanto sia capace il corpo umano, senza veruno sforzo straordinario, e per l’altra di quanto poco sia capace il nostro (5 settembre 1821).
* Si suol dire che tutte le cose, tutte le verità hanno due facce, diverse o contrarie, anzi infinite. Non c’é verità che, prendendo l’argomento piú o meno da lungi e camminando per una strada piú o meno nuova, non si possa dimostrar falsa con evidenza ec. ec. ec. Quest’osservazione (che puoi molto specificare ed estendere) non prova ella che nessuna verità né falsità è assoluta, neppure in ordine al nostro modo di vedere e di ragionare, neppur dentro i limiti della concezione e ragione umana? (5 settembre 1821). Vedi p. 1655, fine.
* Non c’é uomo cosí mal disposto e disadatto ad apprendere o ad apprendere una tal cosa, il quale lunghissimamente (1633) esercitato in qualsivoglia disciplina ed attitudine o di mente o di mano ec. non la possieda o meglio, o almeno altrettanto quanto il piú grande ingegno ec. che incominci o da poco tempo abbia cominciato ad esercitarvisi. Ecco la differenza degl’ingegni. Ad altri bisogna piú esercizio, ad altri meno, ma tutti alla fine son capaci delle stesse cose, e il piú sciocco ingegno con ostinata fatica può divenire uno de’ primi matematici ec. del mondo (5 settembre 1821).
* Una perfetta immagine degl’ingegni possono essere le complessioni. Chi nasce piú robusto e meglio disposto, chi meno. L’esercizio del corpo agguaglia il