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236 | pensieri | (1565-1566) |
L’individuo non è virtuoso, la moltitudine sí, e sempre, per le ragioni e nel senso che ho sviluppato altrove. Quindi in uno stato dove il potere o parte di esso sta in mano della nazione, la virtú ec. giova, perché la nazione, che tiene il potere, l’ama; e perché giova, perciò è praticata piú o meno, secondo le circostanze, ma sempre assai piú e piú generalmente che nello stato dispotico. La virtú è utile al pubblico necessariamente. Dunque il pubblico è necessariamente virtuoso o inclinato alla virtú, perché necessariamente ama se stesso e quindi la propria utilità. Ma la virtú non è sempre utile all’individuo. Dunque l’individuo non è sempre virtuoso, né necessariamente. Oltre ch’é ben piú facile e ordinario ingannarsi un individuo sulle sue vere utilità, che non la moltitudine. Ma in ogni modo l’individuo cerca il suo proprio bene, il pubblico cerca il suo (vero o falso, con mezzi acconci o sconci): questa è virtú sempre e in qualunque caso, quello egoismo e vizio. Parlo principalmente delle virtú pubbliche, cioè di quelle virtú grandi, (1566) i cui effetti o i cui esempi si stendono largamente, in qualunque modo avvenga. Ma non intendo di escludere neppure le virtú private e domestiche, alle quali quanto sia favorevole, massime alle virtú forti e generose, lo stato popolare, e sfavorevole il dispotico, lo dicano per me le storie antiche e moderne, lo dica fra le altre la storia della Francia monarchica e della Francia repubblicana, lo dica l’Inghilterra ec.
Quando l’utile non è se non ciò che piace agl’individui, e questi non sono e quasi non possono esser virtuosi o lo sono momentaneamente, o questo sí e quello no e cento altri no; quando l’utilità insomma delle virtú dipende dal carattere, dalle inclinazioni, dalle voglie, dai disegni degl’individui, e per conseguenza la virtú, quando anche giovi talvolta, non giova costantemente ed essenzialmente, ma per circo-