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(1373-1374) pensieri 121

in luogo di giovarle. Chi non vede chiarissimo, per esempio, un filosofo il quale non sia ancora pienamente assuefatto alla sottigliezza delle idee, purché non abbia la detta mala fede e possieda l’arte dell’espressione, si studia in tutti i modi di rischiarar la materia, non solo al lettore, ma anche a se stesso, e se non ha parlato chiarissimamente, se non ha per ogni parte espresso lo stato delle sue concezioni, non è contento, perch’egli stesso non s’intende e quindi sente bene che non sarà inteso, il che nessuno scrittore precisamente vuole, se non in caso di mala fede o in qualche straordinaria circostanza.  (1374)

Ma quando il filosofo (per seguire collo stesso esempio) è pienamente entrato nel campo delle speculazioni, quando s’é avvezzato a veder la materia da capo a fondo, n’é divenuto padrone e vi si spazia coll’intelletto a piacer suo o almeno vi passeggia per entro con franchezza, trova chiarezza in ogni cosa, s’é abituato alla lettura degli scritti piú sottili, a penetrarli intimamente, a quel gergo filosofico ec.; allora ha bisogno di una particolare e continua avvertenza per riuscir chiaro e gli si rende piú difficile e piú lontana dall’uso la chiarezza, perché, intendendosi egli subito, crede che subito sarà inteso, misura l’altrui mente dalla sua, ed essendo sicuro delle sue idee non ha piú bisogno di fissarle e dichiararle in certo modo anche a se stesso; preferisce quelle proposizioni, quelle premesse, quelle circostanze, quelle legature de’ ragionamenti, quelle prove o confermazioni o dilucidazioni, quelle minuzie, che, perché a lui son ovvie, crede che da tutti saranno sottintese; abusa di quel gergo (necessario però in se stesso ec. ec.). Questo può accadere, e spesso accade anzi tuttogiorno, in una particolar materia, dove lo scrittore o parlatore abbia un’assoluta chiarezza, padronanza, abito di concezione. ec.

E di quanto dico si può vedere quotidianamente