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(540-541) pensieri 51

il negare, quanto sia vero che dall’incertezza e oscurità delle cose, dalla difficoltà di affermare, deriva necessariamente anche quella di negare, cioè affermare che una cosa non è, genere anch’esso di affermazione. E però se una cosa non manca affatto di prova o di prova sufficiente a muover dubbio, o s’ella non è del tutto assurda o riconosciuta evidentemente da lui stesso per falsa o col fatto o colla ragione; eccetto in questi casi,  (540) il vero saggio e filosofo e conoscitore delle cose (in quanto sono conoscibili), ἐπέχει καὶ διασκέπτεται, e ritiene come l’assenso cosí anche il dissenso. Ma uomini di non molto ingegno, bensí di molta apparenza, o desiderio di essa apparenza, credono mostrar talento quando al primo aspetto di una proposizione o cosa non ordinaria, o difficile a credere (o non concorde colle loro opinioni e principii o non ben dimostrata o fondata) si determinano subito a non credere, e se ne compiacciono seco stessi e si credono forti di spirito, perché sanno determinatamente e prontamente non credere, quando è tutto l’opposto. E se bene in questo si mescola spesse volte l’ostentazione, non è però che non lo facciano ordinariamente di buona fede e con verità e che l’interno non corrisponda alle parole. Giacché hanno veramente questa facilità di risolversi a non credere. Perché appunto sono lontani dalla vera e perfetta sapienza, e cognizione delle cose (22 gennaio 1821).


*    Sic enim mihi perspicere videor, ita natos esse nos,  (541) ut inter omnes esset societas quaedam (ecco l’amore universale, notato anche da Cicerone, e naturale, perché la natura e tutti gli animali tendono piú che ad altro al loro simile; preferiscono nella inclinazione, nell’amore, nella società, il loro simile allo straniero e diverso. Questo è il vero confine dell’amore universale secondo natura, non quelli che gli assegnano i nostri filosofi. Ma seguitiamo); maior autem, ut quisque