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(1152-1153) pensieri 445

(lib. IV, fab. 11, al. 10, vers. 4). Questo è un giambo trimetro acataletto, cioè di sei piedi puri, e la penultima breve non è la sillaba gi di Religio, ma la sillaba li. Similmente in quel verso di Catullo, sebbene in questo e nelle leggi metriche piú diligente assai degli altri (Carm. 18, al. 17, vers. 1);

O Colonia quae cupis ponte ludere ligneo,

la penultima, dovendo esser lunga, non è la sillaba gne di ligneo, ma la sillaba li, s’é vera questa lezione di ligneo per longo, come altri leggono. Oltre che questo verso trocaico stesicoreo, dovendo essere di quindici sillabe, sarebbe di sedici, se ligneo fosse trisillabo (La parola ligneo è qui un trocheo, piede di una lunga e una breve, detto anche coreo). E quello che dico de’ latini, dico anche dei greci. Nel primo verso della Ricchezza di Aristofane,

Ὠς ἀργαλέον πρᾶγμ’ ἐστὶν ὦ Ζεῦ καὶ Θεοὶ,


 (1153) la parola ἀργαλέον è trisillaba. E notate che scrivendo

Ὠς ἀργαλέον πρᾶγμ’ ἐστ’ƒ ὦ Ζεῦ καὶ Θεοὶ,


senza nessuna fatica questo verso riusciva giambo trimetro o senario puro, secondo le regole della prosodia greca. Dal che si vede che quei poeti, i quali scrivevano, come dice Tullio dei comici, a somiglianza del discorso (Oratoris, cap. 55), adoperavano quasi regolarmente siffatte vocali doppie ec. come dittonghi, e conseguentemente che l’uso quotidiano della favella, tenace dell’antichità molto piú che la scrittura le stimava e pronunziava per dittonghi o sillabe uniche sí nella Grecia come nel Lazio. Puoi vedere la nota del Faber al 2 verso del prologo di Fedro, lib. I, e quella pure del Desbillons nelle Addenda ad notas, p. LI, fine (10 giugno, dí di Pentecoste, 1821). Vedi p. 2330.