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414 | pensieri | (1113-1114) |
o itum del verbo ire, itare; da pollicitus di polliceri, pollicitari; da exercitus, participio di exercere, exercitare; da citus, participio di cieo, citare e i suoi composti; da strepitus o strepitum, antico supino o participio di strepere, e da crepitus o crepitum di crepare, strepitare e crepitare; da scitus di sciscere o di scire, scitari, sciscitare e sciscitari; da noscitus o noscitum, antico supino o participio di noscere, noscitare; da agitus, antico participio di agere, contratto poscia in agtus, e finalmente mutato in actus, agitare. La quale eccezione merita d’esser notata, giacché in questi casi la formazione dei frequentativi non differisce da quella de’ continuativi e si potrebbero confonder tra loro. Ed anche qualche verbo terminato in itare o itari, ma formato da un participio o supino in itus o itum, apparterrà o sempre o talvolta ai continuativi (come per esempio agitare, domitare ec. e vedi Forcellini in tinnito), vale a dire non cadrà in detta desinenza, se non per esser derivato da un tal participio o supino. Vedi p. 1338, principio. Minitari e minitare, formati da minatus di minari e minare, sono cosí fatti o per contrazione e troncamento non solo dell’us ma dell’atus del participio, affine di sfuggire il cattivo suono atitare; o per mutazione dell’a del participio in i, fatta allo stesso effetto. Vedi p. 1656, capoverso 1. Similmente rogitare, da rogatus di rogare; coenitare, da coenatus di coenare. Vedi p. 1154.
Mi sono allungato in questo discorso ed ho voluto spiegare distintamente tutte queste cose, perché non mi paiono osservate dai grammatici né da’ vocabolaristi. Il Forcellini chiama indifferentemente frequentativi tanto i verbi in itare o itari, come quelli che io chiamo continuativi. E s’inganna, perché (1114) la differenza sí della formazione sí del significato fa chiara la differenza di queste due sorte di verbi. Per esempio, raptare, ch’egli chiama frequentativo di rapere, e che significa strascinare, ognun vede che quest’azione non