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pensieri |
(497-498-499) |
da tutti gli etimologi. Ma che ha da far la favella e il favellare col favoleggiare e colle favole? Qui appunto consiste il singolare e l’osservabile in questa derivazione. Perocché l’antico e primitivo significato di fabula, non era favola, ma discorso, da for faris, quasi piccolo discorso, onde poi si trasferí al significato di ciancia (498) nugae, e finalmente di finzione e racconto falso. Appunto come il greco μῦθος nel suo significato proprio, valeva lo stesso che λόγος, verbum, dictum, oratio, sermo, colloquium, e da Omero non si trova, cred’io, adoperato se non in questa o simili significazioni, cosí esso come i suoi derivati. Poi fu trasferito alla significazione di favola. Il detto senso di fabula, fabulator, fabulo, fabulor, confabulor etc. è evidente negli scrittori latini di tutti i buoni secoli, massime però ne’ piú antichi e piú puri. Vedi il Forcellini in tutte queste voci. Ma dopo, e massimamente ne’ bassi tempi, il significato usuale e comune di fabula nelle scritture non era altro che favola. E tuttavia la nostra lingua ha ritenuto espressamente questa parola (la quale, come ho detto, è la stessa nostra di favella) nel suo antichissimo, primitivo e proprio valore. Certo non è andata a pescare questo significato nelle antichissime memorie e nei primi scrittori. Bisogna dunque che la detta significazione tal qual era da principio sia pervenuta di mano in mano e conservata e continuata senza (499) interruzione fino alla nascita e alle origini della nostra lingua. Ora ciò non può essere stato se non per mezzo del volgo latino; tanto piú che gli scrittori, quando anche avessero conservata in uso la detta significazione sino all’ultimo, non avrebbero mai potuto essi soli comunicarla al volgo e renderla volgare, usuale, comune, propria e primitiva in una lingua nascente, quando il significato piú comune di quella parola fosse stato un altro. E tale era infatti appresso gli scrittori. Del resto come μῦθος e fabula vuol dire al