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(1046-1047-1048) | pensieri | 365 |
* Principalissime cagioni dell’essersi la lingua greca per sí lungo tempo mantenuta incorrotta (vedi Giordani, nel fine della Lettera sul Dionigi) furono indubitatamente la sua ricchezza e la sua libertà d’indole e di fatto. La qual libertà produce in buona parte la ricchezza; la qual libertà è la piú (1047) certa, anzi necessaria, anzi unica salvaguardia della purità di qualunque lingua. La quale, se non è libera primitivamente e per indole, stante l’inevitabile mutazione e novità delle cose, deve infallibilmente declinare dalla sua indole primitiva, e per conseguenza alterarsi, perdere la sua naturalezza e corrompersi; laddove ella conserva l’indole sua primitiva, se fra le proprietà di questa è compresa la libertà. E quindi si veda quanto bene provveggano alla conservazione della purità del nostro idioma coloro che vogliono togliergli la libertà, che, per buona fortuna, non solo è nella sua indole, ma ne costituisce una delle principali parti e uno de’ caratteri distintivi. E ciò è naturale ad una lingua che ricevé buona parte di formazione nel trecento, tempo liberissimo, perché antichissimo, e quindi naturale; e l’antichità e la natura non furono mai soggette alle regole minuziose e scrupolose della ragione e molto meno della matematica. Dico antichissimo, rispetto alle lingue moderne, nessuna delle quali data da sí lontano tempo il principio vero di una formazione molto inoltrata e di una notabilissima coltura ed applicazione alla scrittura; né può di gran lunga mostrare in un secolo cosí remoto sí grande universalità e numero di scrittori e di parlatori ec. che le servano anche oggi di modello. E questa antichità (1048) di formazione e di coltura, antichità unica fra le lingue moderne, è forse la cagione per cui l’indole primitiva della lingua italiana formata è piú libera forse di quella d’ogni altra lingua moderna cólta (siccome pure dell’esser piú naturale, piú immaginosa, piú varia, piú lontana dal geometrico ec.).