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(1020-1021) | pensieri | 345 |
questa differenza di linguaggio o dialetto, se non in lui, certo però esisteva); non tanto dalle diverse maniere e idiotismi degli scrittori latini di diverse nazioni e parti (vedi Fabricius, (1021) Bibliotheca Graeca, lib. V, c. I, § 17, t. V, p. 67, edit. vet., e il S. Ireneo del Massuet); le quali si possono anche inferire dalle diverse lingue nate dalla latina ne’ diversi paesi, ed ancora viventi (che dimostrano una differenza di inflessioni, di costrutti, di locuzioni ec., che, se anticamente non fu tanta quanta oggidí, certo però è verisimile che fosse qualche cosa, e che a poco a poco sia cresciuta, derivando dalla differenza antica), quanto da questo che è nella natura degli uomini, che una perfetta conformità di favella non sussista mai se non fra piccolissimo numero di persone (vedi p. 932, fine). Cosí che io non dubito che la lingua latina non fosse realmente distinta in piú e piú dialetti, come la greca, sebbene meno noti e meno legittimati e riconosciuti dagli scrittori e applicati alla letteratura. Vedi qui sotto.
Del resto, la lingua italiana patisce ora, serbata la proporzione, l’inconveniente della lingua latina, forse piú che qualunque altra moderna cólta. Ond’ella è per questa parte meno adattata di tutte alla universalità, distinguendosi sommamente, non solo il suo volgare, ma il suo parlato dal suo scritto. Non era cosí anticamente, ed allora l’italiano era piú acconcio alla universalità, come lo prova anche il fatto. Nel trecento lo scritto e il parlato quasi si confondevano. In Toscana accadeva questo anche nel cinquecento appresso a poco, e forse potrebbero ancora confondersi se i toscani scrivessero l’italiano o il toscano siccome lo parlano; laddove nel resto d’Italia l’italiano non si parla (7 maggio 1821). Vedi p. 1024, capoverso ultimo.
* Al capoverso superiore. E perciò appunto meno