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298 | pensieri | (959-960) |
amor proprio e radicalmente (non in quanto è diretto a questa o quella parte), cioè il vero indebolimento di questo amore, è cagione dell’indebolimento della virtú, dell’entusiasmo, dell’eroismo, della magnanimità, di tutto quello che sembra a prima vista il piú nemico dell’amor proprio, il piú bisognoso del suo abbassamento per trionfare e manifestarsi, il piú contrariato e danneggiato dalla forza dell’amore individuale. Cosí il detto indebolimento secca la vena della poesia, e dell’immaginazione, e l’uomo, non amando se non poco se stesso, non ama piú la natura; non sentendo il proprio affetto, non sente piú la natura né l’efficacia della bellezza ec. Una nebbia grevissima d’indifferenza, sorgente immediata d’inazione e insensibilità, si spande su tutto l’animo suo e su tutte le sue facoltà, da che (960) egli è divenuto indifferente o poco sensibile verso quell’oggetto ch’é il solo capace d’interessarlo e di muoverlo moralmente o fisicamente verso tutti gli altri oggetti in qualunque modo, dico se stesso.
Altra cagione dello snervamento prodotto nell’uomo dall’infelicità è la diffidenza di se stesso o delle cose, affezione mortifera, com’è vivifica e principalissima nel mondo e nei viventi la confidenza, e massime in se stesso; e questa è una qualità primitiva e naturale nell’uomo e nel vivente, innanzi all’esperienza ec. ec. Cosí pure l’uomo che ha perduto, o per viltà e vizio, o per forza delle avversità e delle contraddizioni e avvilimenti e disprezzi sofferti, la stima di se stesso, non è piú buono a niente di grande né di magnanimo. E dicendo la stima, distinguo questa qualità dalla confidenza, ch’è cosa ben diversa considerandola bene (19 aprile 1821).
* Le sopraddette considerazioni possono portare ad una gran generalità e semplicizzare l’idea che abbiamo del sistema delle cose umane, o la teoria del-