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(958-959) pensieri 297



*    Una delle principali cagioni per cui l’infelicità rende l’uomo inetto al fare e lo debilita e snerva, onde l’infelicità toglie la forza, non è altra se non che l’infelicità debilita l’amor di se stesso. E intendo massimamente della infelicità grave e lunga. La quale, col continuo contrasto che oppone all’amor di se stesso che era nel paziente, colla battaglia ostinatissima e fortissima che gli fa e coll’obbligarlo ad uno stato contrario del tutto a quello ch’è scopo, oggetto e desiderio di questo amore, finalmente illanguidisce questo amore, rende l’uomo meno tenero di se stesso, siccome avvezzo a sentirsi infelice malgrado gli sforzi che ci opponeva. Anzi una tale infelicità, se non riduce l’uomo alla disperazion viva e al suicidio o all’odio di se stesso, ch’è il sommo grado e la somma intensità dell’amor proprio in tali circostanze, lo deve ridurre per necessità ad uno stato opposto, cioè alla freddezza e indifferenza verso se stesso, giacché s’egli continuasse ad essere cosí infiammato verso se medesimo, com’era da principio, in che modo potrebbe sopportare la vita o contentarsi di sopravvivere, vedendo e sentendo sempre infelice questo oggetto del suo sommo amore e di tutta la sua vita sotto tutti i rispetti?

Ma l’amor di se stesso è l’unica possibile molla delle azioni e dei sentimenti umani, secondo ch’è applicato a questo o quello scopo virtuoso o vizioso, grande o basso ec.  (959) Diminuita dunque e depressa e ridotta a pochissimo (cioè a quanto meno è possibile mentre l’uomo vive) l’elasticità e la forza di molla, l’uomo non è piú capace né di azioni, né di sentimenti vivi e forti ec. né verso se stesso né verso gli altri, giacché anche verso gli altri, anche ai sacrifizi ec., non lo può spingere altra forza che l’amor proprio in quella tal guisa applicato e diretto. E cosí l’uomo, ch’è divenuto per forza indifferente verso se stesso, è indifferente verso tutto, è ridotto all’inazione fisica e morale. E l’indebolimento dell’amor proprio, in quanto