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(935-936) pensieri 279

fosse distinta in dialetti nelle stesse tribú ebraiche, dentro la stessa Cananea. Vedi Judic., cap. XII vers. 5-6 e quivi i comentatori. La lingua caldaica ec. non è che un dialetto dell’ebraica. La samaritana parimente; o l’ebraica è un dialetto della samaritana o figlia o corruzione di essa ec. De’ tre dialetti egiziani-coptici tutti tre scritti, vedi il Giorgi.

7°, Neppur questo è tutto. Ma dentro i confini di un medesimo ed unico dialetto non v’è città, il cui linguaggio non differisca piú o meno da quello medesimo della città piú immediatamente vicina. Non differisca, dico, nel tuono e inflessione e modulazione della pronunzia, nella inflessione e modificazione diversa delle  (936) parole, e in alcune parole, frasi, maniere, intieramente sue proprie e particolari. Questo si vede nelle città di Toscana (tanto che il Varchi vuole perciò che la lingua scritta italiana, non solo non si chiami italiana, ma neppur toscana, bensí fiorentina); si vede nelle altre città di qualunque provincia italiana, e dappertutto. Di piú, in ciascuna città il linguaggio cittadinesco è diverso dal campestre. Di piú, senza uscire dalla città medesima, è noto che nella stessa Firenze si parla piú di un dialetto, secondo la diversità delle contrade: (e di ciò pure il Varchi); cosí che una lingua non arriva ad essere strettamente conforme e comune neppure ad una stessa città, s’ella è piú che tanto estesa e popolata. E cosí credo che avverrà pure in Parigi ec. Vedi p. 1301, fine.


     Da questi dati caviamo alcune conseguenze piú alte ed importanti. 1°, Che la diversità de’ linguaggi è naturale e inevitabile fra gli uomini e che la propagazione del genere umano portò con se la moltiplicità delle lingue e la divisione e suddivisione dell’idioma primitivo e finalmente il non potersi intendere, né per conseguenza comunicare scambievolmente piú che tanto numero di uomini. La confusione de’ linguaggi, che dice la Scrittura essere stato un gastigo