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(933-934) | pensieri | 277 |
2°, Diffondendosi una nazione ed occupando un troppo largo tratto di paese e crescendo a un soverchio numero d’individui, l’esperienza continua dei secoli e la fede di tutte le storie dimostra che la lingua di quella nazione si divide, la conformità del linguaggio si perde, e per quanto quella nazione sia veramente ed originariamente la stessissima la sua lingua non è piú una. Cosí è accaduto alla lingua de’ celti, diffusi per la Gallia, la Spagna, la Bretagna e l’Italia ec., con che la lingua celtica s’é divisa in tante lingue, quanti paesi ha occupato la nazione. Cosí alla teutonica, alla slava ec., e fra le orientali all’arabica, colla diffusione de’ maomettani.
3°, Sebbene un popolo conquistatore trasporti e pianti la sua lingua nel paese conquistato, e distrugga anche del tutto la lingua paesana, la sua lingua in quel tal paese appoco appoco si altera, finattanto che torna a diventare una lingua diversa dalla introdottaci. Testimoni i romani (934); la cui lingua, piantata colla conquista nella Francia e nella Spagna (per non estenderci ora ad altro), e distrutta intieramente la lingua indigena (giacché quei minimi avanzi che ne potessero ancora restare, non fanno caso), non fece altro che, alterandosi a poco a poco, finalmente emettere dal suo seno due lingue da lei formalmente diverse, la francese e la spagnuola. Lo stesso si potrebbe dire d’infinite altre famiglie di lingue europee e non europee, che, uscite ciascuna da una lingua sola, colla diffusione dei loro parlatori si sono moltiplicate e divise in tante lingue quante compongono quella tal famiglia.
4°, Anche dalle osservazioni precedenti si può dedurre, che questa impossibilità naturale e positiva dello estendersi una lingua piú che tanto in paese e in numero di parlatori (o provenga dal clima che diversifichi naturalmente le lingue o da qualunque cagione) non è solamente dipendente dalla mescolanza