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242 | pensieri | (887-888) |
sendo stata ed essendo nemica del vincitore, tutta si trattava come nemica vinta e domata e tutta era preda del nemico trionfante. Quindi la disperazione delle guerre, l’ostinazione delle resistenze le piú inutili, lo scannarsi scambievolmente le popolazioni intiere, piuttosto che aprir le porte al nemico, perché in fatti il vinto andava nelle mani e nell’assoluta balía di un nemico mortale, com’egli lo era del vincitore, quindi anche il combattere le nazioni intere e l’essere tutti soldati quanti potevano portar armi, e ciò sempre, cioè tanto in guerra quanto (se non in atto certo in potenza e disposizione) nel tempo di pace. Perché le nazioni, massime vicine, erano sempre in istato di guerra, odiandosi tutte scambievolmente e cercando l’una di sorpassar l’altra in (888) qualunque modo per conseguenza necessaria del vero amor patrio (vedi in questo proposito, se però vuoi, l’Essai sur l’indifférence en matière de religion ch. X, dove discorre di proposito in questa materia, sebbene in senso opposto al mio, durante nove pagine della traduzione di Bigoni, cioè dalla p. 160 alla 169, ossia dal periodo che comincia: Ma questo non è tutto ancora. Quando i rapporti sociali ec., sino a quello che incomincia: Incedo per ignes. Egli trova anche una conformità di quest’ultimo costume nella moltitudine delle armate odierne, che fa derivare dalla nazionalità delle guerre di questi ultimi anni. Osservo però che questo derivò in principio dalla sola ambizione e dispotismo di Luigi XIV).
Conchiudo che l’indipendenza, la libertà, l’uguaglianza di un popolo antico, non solo non importava l’indipendenza, la libertà, l’uguaglianza degli altri popoli, rispetto a lui e per quanto era in lui, ma per lo contrario, importava la soggezione e servitú degli altri popoli, massime vicini, e l’obbedienza de’ piú deboli. E un popolo libero al di dentro era sempre tiranno al di fuori, se aveva forze per esserlo, e