(850-851-852) |
pensieri |
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e però da quelle che abbiamo di Cicerone non possiamo argomentare che (851) quello stesso linguaggio egli usasse col popolo. Sí dunque la naturalezza semplicità e facilità di forma della lingua greca, tanto negli antichi scrittori quanto nella nazione; sí la quasi uniformità di linguaggio che ne seguiva fra i detti scrittori e il popolo, come questa era effetto di quella, cosí ambedue unitamente contribuivano a rendere la lingua greca adattata alla universalità; adattata, dico, in proporzione dei tempi, non quanto bisognerebbe esserlo oggidí, né quanto lo è la francese; ché oggidí una lingua per essere universale ha bisogno di essere arida e geometrica, e la greca era floridissima e naturalissima, di essere ristretta, e la greca era larghissima e ricchissima, di essere non bella, e la greca era bellissima. Perciò la greca non era, e nessuna bella e naturale lingua lo potrà esser mai, pienamente né stabilmente universale; ma sí per le dette ragioni, sí per le recate in altro pensiero, serviva a quella universalità lassamente (852) considerata e non assolutamente, che poteva convenire ad un tempo, dove né la ragione, né le cognizioni esatte, né la filosofia, né l’esattezza assolutamente, né il commercio scambievole delle nazioni e de’ loro individui fra essi, avevano fatto progressi paragonabili in grandezza né in estensione agli odierni. E si può anche notare che, siccome erano ancora i tempi della immaginazione e non della ragione, cosí, sebben quella è varia, e questa monotona, e uniforme dappertutto, contuttociò quella stessa immaginazione che regolava quella lingua fra i greci poneva anche gli altri popoli, ancora governati dalla immaginazione, in grado di adattarsi senza troppa difficoltà a quella lingua, come conforme al carattere di que’ secoli e di trovare corrispondente alla propria inclinazione la naturalezza di quella lingua (parola che io intendo qui di opporre alla ragionevolezza e geometria e di adoperarla in questo senso).