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pensieri |
(815-816-817) |
tendere dopo la morte? Io so bene che la natura ripugna con tutte le sue forze al suicidio, so che questo rompe tutte le di lei leggi piú gravemente che qualunque altra colpa umana; ma da che la natura è del tutto alterata, da che la nostra vita ha cessato di esser naturale, da che la felicità che la natura ci avea destinata è fuggita per sempre, e noi siam fatti incurabilmente infelici, da che quel desiderio della morte, che non dovevamo mai, secondo natura, neppur concepire, in dispetto della natura, e per forza di ragione, s’é anzi impossessato di noi; (816) perché questa stessa ragione c’impedisce di soddisfarlo e di riparare nell’unico modo possibile ai danni ch’ella stessa e sola ci ha fatti? Se il nostro stato è cambiato, se le leggi stabilite dalla natura non hanno piú forza su di noi, perché non seguendole in nessuna di quelle cose dov’elle ci avrebbero giovato e felicitato, dobbiamo seguirle in quella dove oggidí ci nocciono e sommamente? Perché, dopo che la ragione ha combattuta e sconfitta la natura per farci infelici, stringe poi seco alleanza, per porre il colmo all’infelicità nostra, coll’impedirci di condurla a quel fine che sarebbe in nostra mano? Perché la ragione va d’accordo colla natura in questo solo, che forma l’estremo delle nostre disgrazie? La ripugnanza naturale alla morte è distrutta negli estremamente infelici, quasi del tutto. Perché dunque debbono astenersi dal morire per ubbidienza alla natura? Il fatto è questo. Se la religione non è vera, s’ella non è se non un’idea concepita dalla (817) nostra misera ragione, quest’idea è la piú barbara cosa che possa esser nata nella mente dell’uomo: è il parto mostruoso della ragione il piú spietato; è il massimo dei danni di questa nostra capitale nemica, dico la ragione, la quale avendo scancellato dalla mente dall’immaginativa e dal cuor nostro tutte le illusioni che ci avrebbero fatti e ci faceano beati, questa sola ne conserva, questa sola non potrà mai cancellare se