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pensieri |
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infinite radici. Ora (807) una piú che tanta moltitudine di radici è difficilissima per natura, giacché un composto subito s’intende, ma perché una radice sia subito e comunissimamente intesa, com’è necessario, e passi nell’uso universale, ci vuol ben altro. Perciò la invenzione delle radici in qualunque società d’uomini parlanti, o primitiva o no, è sempre naturalmente scarsa; e povera quella lingua che non può esprimersi senza radici, perch’ella non si esprimerà mai se non indefinitamente, ed ogni parola, come accade nell’ebraico, avrà una quantità di significati. Vedi, se vuoi, Soave, appendice al capo I, lib. 3 del Compendio di Locke, Venezia 37a ediz., 1794, t. II, p. 12, fine 13, e Scelta di opuscoli interessanti, Milano 1775, volume IV, p. 54, e questi pensieri, p. 1070, capoverso ultimo. E se volete vedere facilmente, perché una lingua appena è cominciata a divenire un poco cólta e ad aver bisogno di esprimere molte cose, e queste specificatamente e chiaramente e distintamente e le loro differenze ec., perché, dico, abbia súbito avuto ricorso e trovati i composti, osservate. Che sarebbe l’aritmetica se ogni numero si dovesse significare con cifra diversa e non colla diversa composizione di pochi elementi? Che sarebbe la scrittura se ogni parola dovesse esprimersi colla sua cifra o figura particolare, come dicono della scrittura cinese? La stessa (808) facilità e semplicità di metodo, e nel tempo stesso fecondità, anzi infinità di risultati e combinazioni, che deriva dall’uso degli elementi nella scrittura e nell’aritmetica, anzi in tutte le operazioni della vita umana, anzi pure della natura (giacché, secondo i chimici, tutto il mondo e tutti i diversissimi corpi si compongono di un certo tal numero di elementi diversamente combinati, e noi medesimi siamo cosí composti e fatti, anche nell’ordine morale, come ho dimostrato in molti pensieri sulla semplicità del sistema dell’uomo), deriva anche dall’uso degli elementi nella