che, anzi buona quantità di parole affatto straniere. Si consoli però che tutte le nazioni, quando piú quando meno, hanno avuto il medesimo bisogno, quale in un tempo, quale in un altro; l’ha avuto anche la sua antica lingua, cioè la latina; l’abbiamo avuto noi stessi nei principii della nostra lingua (e se ora ci bisogna ritornare a quella necessità che si prova nei principii, nostra colpa); e non creda di diventar barbara, se saprà far quello ch’io dico con retto e maturo e accurato e posato giudizio. Anzi si dia fretta a introdurre e scegliere queste medesime voci straniere, se non vuole che la lingua imbarbarisca del tutto e senza rimedio. Perché l’unica via di arrestare i progressi della corruttela è questa. Proclamare lo studio profondo e vasto della lingua e nel tempo stesso la libertà che ciascun scrittore, impadronitosi bene della lingua e conosciutone a fondo l’indole e le risorse, usi il suo giudizio nell’introdurre e impiegare e spendere la novità necessaria, anche straniera. Finché uno scrittore qualunque (che non sia da bisavoli) (798) sarà privo di questa libertà, sarà stimato impuro se vorrà usare la necessaria novità, si vedrà costretto a scegliere fra quella che si chiama e se le presenta e prescrive come purità di lingua, e tra la facoltà di trattare il suo soggetto e di esprimere i suoi pensieri, originali e propri o no, ma solamente moderni, disperando di una purità nella quale sia non solamente difficile, come sempre sarà ed in ogni caso, ma del tutto impossibile di esprimere i suoi pensieri, la trascurerà affatto, e diverrà, malgrado ancora la buona intenzione, colpevole per la forza del bisogno, ricorrendo a quella barbarie, la quale sola gli fornirà il modo di farsi intendere e di scrivere. Ovvero al piú seguirà quella miserabile separazione fra gli scrittori vuotissimi o nulli ma puri, e fra gli scrittori di cose ma barbari; quando nessun de’ due può mai sperare l’immortalità, ma molto meno i primi, senza riunire le due qualità e