lascia esser cosa bisognosa di nome, senza nominarla; massime se appartiene all’uso del viver civile o alle comuni cognizioni della parte colta della nazione; e per l’altra parte mediante quella debita e necessaria libertà, che non fa loro riguardare come illecita una parola in ogni altro riguardo buona e francese ed utile e necessaria, per questo solo che non è registrata nel vocabolario, o non anche adoperata sia nelle scritture in genere, sia nelle riputate e classiche. 4°, Ripeterò quello che ho detto della necessità di ammettere la giudiziosa novità a fine appunto di impedire che la lingua non diventi barbara. Perché, la novità delle cose necessitando la novità delle parole, quegli che non avrà parole proprie e riconosciute dalla sua lingua per esprimerle, forzato dall’imperioso bisogno ricorrerà alle straniere; e appoco appoco si romperà ogni riguardo e, trascurata la purità della lingua, si cadrà del tutto nella barbarie. (789) Il che si può vedere, oltre l’esempio nostro, per quello della lingua latina, perché questa parimente dopo Cicerone mancata, o per trascuraggine e ignoranza, come ho detto altrove, e per non trovarsi né cosí perfetti possessori e assoluti padroni della lingua, né cosí industriosi, oculati, giudiziosi, solerti, artifiziosi coltivatori del di lei fondo e negoziatori della sua merce e capitali, come Cicerone, o per timidità, scoraggimento, falsa e dannosa opinione che la ricchezza della lingua fosse già perfetta o ch’ella in quanto a se non fosse piú da crescere né da muovere né da toccare, o per superstizione di pedanti che sbandissero le nuove voci tratte dall’uso o dalle radici della lingua, come mancanti di autorità competente di scrittori (il che veramente accadeva, come si vede in Gellio), o anche per falsa opinione che le radici o l’uso o insomma il capitale proprio della lingua non avessero effettivamente piú nulla da dare che facesse al caso o convenisse alle scritture ec. ec.; mancata, dico, per tutte queste