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170 | pensieri | (759-760) |
tine composte nei detti modi, o con avverbi (come propemodum e mille altre), insomma come le greche, e che sono durate nell’uso della latinità sino alla fine, ma non però imitate né accresciute; e in quelle che poi caddero dall’uso e si possono veder ne’ piú antichi latini (come in Plauto lectisterniator, legirupus, lucrifugae e mille altre, e prendo le primissime che ho incontrate subito) e servono a far conoscere la primitiva costituzione, forma, usanza e potenza di quella lingua; facoltà in fine, ch’è la massima e piú ricca sorgente della copia delle parole e della onnipotenza di tutto esprimere, ancorché nuovissimo; il che si ammira nel greco e si poté una volta notare anche nel latino.
I primi scrittori latini, il loro linguaggio sacro o governativo ec. antico (come lectisternium, antica festa romana) abbondano siffattamente di parole composte alla greca di due o piú voci, che non si può forse leggere un passo di detti autori ec. senza trovarne, ma la piú parte andate in disuso. Spesso eran proprie di quel solo che le inventava. Talvolta anche di eccessiva lunghezza, come clamydeclupetrabrachium parola di antico poeta riferita da Varrone (De Lingua latina, lib. IV, p. 3 della mia ediz. del quattrocento). Quest’uso ottimo e felicissimo e questa facoltà fu o trascurata o comunque (760) lasciata trasandare, abbandonare, dismettere, dimenticare alla lingua latina, che era per forza d’essa facoltà cosí bene istradata alla onnipotenza ne’ suoi principii. Ma la facoltà di arricchire la propria lingua col prodotto delle sue proprie radici in ogni altro genere, coi derivati ec., non fu mai abbandonata finch’ella visse, e non poteva esserlo, stante ch’ella vivesse. Non solamente i cattivi o mediocri, ma anche i buoni ed ottimi scrittori dopo Cicerone se ne prevalsero tutti e tutti scrivendo aumentarono il tesoro della lingua; e questa non lasciò mai di far buoni e dovuti progressi, finché fu adoperata da buoni e degni scrittori.