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162 | pensieri | (744-745-746) |
somma senza contrasto il primo, il sommo letterato e scrittore latino in quasi tutti i generi, soprastava tanto agli altri, che la lingua latina scritta si riputò tutta chiusa nelle sue opere, queste tennero luogo di accademia e di vocabolario, l’autorità e l’esempio suo presso i successori non si limitò ad insegnare e servir di norma e di modello, ma, come accade, a circoscrivere; la lingua si riputò giunta al suo termine; gl’incrementi di essa si stimarono già finiti, si credé giunto il colmo del suo accrescimento; si temé la novità; si ebbe dubbio e scrupolo di guastare e far degenerare in luogo di arricchire; le fonti della ricchezza della lingua si stimarono chiuse ec. E cosí Cicerone, fra gl’infiniti benefizi fatti alla sua (745) lingua, gli fece anche indirettamente, per la troppa superiorità e misura della sua fama e merito, troppo soverchiante e primeggiante, questo danno di arrestarla, come arrivata già alla perfezione e come in pericolo di degenerare se fosse passata oltre; e quindi togliergli l’ardire, la forza generativa, e produttrice, la fertilità e inaridirla; nello stesso modo che avvenne alla eloquenza e letteratura latina, per lo stesso motivo e per la stessa persona (Vedi Velleio nel fine del 1° libro). Che siccome per la letteratura si stimò quasi giunta l’ora del riposo, tanto egli l’aveva perfezionata (Vedi p. 801, fine), cosa che non accadde mai nella Grecia, giacché a nessuno scrittore in particolare competeva questa qualità, e la perfezione di un secolo il quale s’intreccia e addentella col seguente non ispaventa tanto quanto quella di un solo che in se stesso racchiude e definisce e circoscrive la perfezione, cosí appunto intervenne anche alla lingua, la quale, similmente, (746) come già matura e perfetta, cessò di crescere e isterilí. Questa può essere una ragione. Quest’altra mi sembra la principale.
Da qualunque origine derivasse la lingua e la letteratura e filosofia e sapienza greca, certo è che la