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(738-739-740) pensieri 159

quello che manchi alla lingua greca la facoltà di esprimerlo e sia inaridita la fonte delle sue denominazioni e parole. Il qual uso, ancorché io lo biasimi e condanni per le ragioni che ho dette altrove, non è però che non renda evidente e palpabile l’onnipotenza immortale di quella lingua.  (739)

Cosí la lingua greca che non avea né accademie né vocabolari, senza perder mai la facoltà di arricchirsi e di far fruttare il suo terreno ubertosissimo, costantemente però e tenacemente nemica delle merci straniere (o per carattere nazionale o per la stessa ricchezza sua che bastava a tutto), si mantenne sempre, come fertile e prolifica e viva e vegeta e copiosa, cosí pura e sincera, fino ai tempi che Costantino, trasportando quasi l’Italia nella Grecia e l’Occidente in Oriente, con quella infinita e subitanea novità di costumi, di abitatori, di corte, ec., introducendo e stabilendo ed erigendo per cosí dire la lingua latina nel bel mezzo delle provincie greche e della lingua greca, forzò quell’idioma per sí lungo spazio indomito e vittorioso di tutti gli assalti forestieri e illeso fra tutti i pericoli di barbarie che aveva incontrati, a ricevere voci straniere e mescolarle colle proprie (non per bisogno, ma per uso e  (740) commercio quotidiano e presenza di gente straniera e questa numerosa e padrona) e finalmente imbarbarire suo malgrado e a viva forza. Vedi p. 981, capoverso 1. La qual mescolanza e quasi fusione di usi, costumi, opinioni, linguaggi occidentali e orientali, sebbene il mondo inclinava già fortemente alla barbarie, anzi vi aveva già messo il piede, tuttavia credo che contribuisse ancor ella ad imbarbarire scambievolmente le une colle altre nazioni, inducendole e forzandole a guastare o dismettere i loro primitivi istituti e costumi, assai piú di quello che avessero fatto per l’addietro: il quale allontanamento e declinazione dal primitivo è l’ordinaria e certa sorgente di barbarie e di corruzione fra gli uomini.