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e detestarono nel presente come un male. I suoi fautori antichi furono esaltati nelle storie, nelle orazioni, nei versi come eroi: i moderni biasimati ed esecrati come traditori. Si alzarono statue e monumenti agli antichi liberali, si citarono, condannarono e proscrissero i moderni. L’elogio della libertà, per una strana contraddizione, fu permesso ne’ discorsi negli scritti e nelle azioni fino ad un certo tempo. Passato quel termine, gli scrittori mutano linguaggio e maledicono nei contemporanei, quello che hanno divinizzato  (460) e divinizzano allo stesso tempo negli antenati. Tale è fra gli altri Velleio, grandissimo lodatore degli antichi fatti, libertà ec. esecratore degli antichi nemici della libertà, e de’ moderni amici; lodatore di Nasica ed Opimio uccisori di Tiberio e Caio Gracchi (uomini per altro, secondo lui, egregi anzi sommi, se non in quanto attentarono alla libertà) ed esecratore della congiura contro Cesare ec. Perchè, appena egli arriva a costui, si cambia scena manifestamente e tutto a un tratto, e il suo linguaggio, liberalissimo fino a quel punto, diviene abbiettissimo e servilissimo nel séguito. Ed è tanto improvvisa e sensibile questa mutazione, ch’egli è anche gran panegirista di Pompeo, l’immediato antagonista di Cesare; e di Pompeo repubblicano, perchè lo biasima dovunque egli manca ai doveri verso una patria libera (27 dicembre 1820). Vedi pag. 463, capoverso 1.


*   Quelle rare volte ch’io ho incontrato qualche piccola fortuna o motivo di allegrezza, in luogo di mostrarla al di fuori, io mi dava naturalmente alla malinconia quanto all’esterno, sebbene l’interno fosse contento. Ma quel contento placido e riposto io temeva di turbarlo, alterarlo, guastarlo, e perderlo  (461) col dargli vento. E dava il mio contento in custodia alla malinconia (27 dicembre 1820).