Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/101

88 pensieri (605-606-607)

meno forniti: come dunque la sostanza dell’anima è per natura, uguale tutta quanta?

Ma queste sono facoltà, non parti dell’anima. 1°, L’anima stessa non ci è nota se non come una facoltà; 2°, se l’anima è perfettamente semplice e, per maniera di dire, in ciascheduna parte uguale alle altre parti e a tutta se stessa, come può perdere una facoltà, una proprietà, conservando un’altra e continuando ad essere? Come può accader questo, se noi pretendiamo, cum simplex animi natura esset neque haberet in se quidquam admixtum dispar sui atque dissimile, non posse eum dividi: quod si non possit, non posse interire? (Cicerone, Cato maior seu de senectute, c. 21, fine, ex Platone ). Vedi p. 629, capoverso 2.

Insomma, fuori della espressa volontà e  (606) forza di un padrone dell’esistenza, non c’è ragione veruna perché l’anima, o qualunque altra cosa, supposta anche e non ostante l’immaterialità, debba essere immortale; non potendo noi discorrere in nessun modo della natura di quegli esseri che non possiamo concepire, e non avendo nessun possibile fondamento per attribuire ad un essere posto fuori della materia una proprietà piuttosto che un’altra, una maniera di esistere, la semplicità o la composizione, l’incorruttibilità o la corruttibilità (4 febbraio 1821).


*    Cum proelium inibitis (moneo vos ut) memineritis vos divitias, decus, gloriam, praeterea libertatem atque patriam in dextris vestris portare. Parole che Sallustio (Bellum Catilinarium, c. 58 al 61) mette in bocca a Catilina nell’esortazione ai soldati prima della battaglia. Osservate la differenza dei tempi. Questa è quella figura rettorica che chiamano Gradazione. Volendo andar sempre crescendo, Sallustio mette prima le ricchezze, poi l’onore, poi la gloria, poi la libertà  (607) e finalmente la patria, come la somma e la piú cara di tutte le cose. Oggidí, volendo esortare un’armata in simili