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(446-447-448) pensieri 475

sono piú naturali; egli non ubbidisce piú alle sue primitive inclinazioni, perché non giudica piú di doverlo fare, né piú ne cava la conseguenza naturale ec. E per tal modo l’uomo alterato, cioè divenuto imperfetto relativamente alla sua propria natura, diviene infelice (l’uomo può essere anche infelice accidentalmente per forze esterne, che gl’impediscano di conformar le azioni alle credenze, cioè di far quello ch’egli giudica buono per lui o non far quello ch’egli giudica e crede  (447) cattivo. Tali forze sono le malattie, le violenze fattegli da altri individui o da altre specie o dagli elementi ec. ec. ec. Quest’infelicità non entra nel nostro discorso. Essa è appresso a poco l’infelicità antica).

Da queste osservazioni deducete che propriamente la nemica della natura non è la ragione, ma la scienza e cognizione, ossia l’esperienza che n’é la madre. Perché anche le operazioni e tutta la vita dell’uomo naturale e degli altri viventi è perfettamente ragionevole, giacché deriva da credenze tirate in forma di conseguenza, per via di sillogismo, da quei tali dati. L’esperienza, crescendo oltre il dovere, cambia, altera, moltiplica soverchiamente le basi di questi sillogismi produttori delle credenze, e quindi alterando dette conseguenze o credenze, fa che non sia piú ragionevole il determinarsi a credere quelle tali cose naturalmente credibili e quindi a fare o fuggire quelle tali cose naturalmente da farsi o da fuggirsi. Ma la ragione assolutamente in se stessa, è innocente, ed ha la sua intera azione anche  (448) nello stato naturale; vale a dire, anche nello stato naturale l’uomo (e cosí né piú né meno il bruto) è conseguente e si determina a credere quello che gli par vero, per via di perfetto raziocinio; e si determina ad abbracciare o fuggire quello che crede veramente buono o cattivo per lui, rispetto alla sua natura generale e individuale e alle sue circostanze di quel tal momento in cui si determina.

Del resto, come l’indifferenza assoluta, ossia la